Il teatro di Castiglione
Nato nella seconda metà dell'ottocento, e del quale si hanno notizie certe attraverso una donazione fatta nel 1951 al Comune di Castiglione Intelvi da parte di Mario Botta, il teatro è stato sede di molti spettacoli che venivano allestiti con una particolarità: l'accompagnamento musicale cantato. Gli spettacoli erano generalmente invernali durante i mesi di permanenza in Italia degli emigranti nelle feste di Santo Stefano, della Madonna Addolorata, nella quarta domenica di gennaio e nel primo giorno delle Quarant'ore. Notizie documentate dell'attività del Teatro si hanno a partire dal 1906 quando, attori definiti "dilettanti" hanno portato, con impegno e passione, momenti di evasione e di felicità nei cuori dei loro compaesani, in tempi avari di divertimento. Questo teatro è stato costruito secondo criteri ancora rinascimentali cioè la sala rettangolare da pallacorda con un punto di vista privilegiato, quello assiale centrale, ed inoltre con palchi di tipo elisabettiano senza chiusure laterali che permettono quindi una sonorità abbastanza forte all'interno della scatola teatrale. Ben presto il teatro acquistò una rinomanza superiore a quella dei teatri dei paesi vicini e gli spettatori giungevano numerosi da tutta la Valle. La prima rappresentazione citata dalle fonti è la famosissima opera buffa di Gioacchino Rossini, la "Gazza ladra" messa in scena il 25 febbraio 1906.
L'8 settembre 1913 venne organizzata una grande serata per commemorare i 100 anni della nascita di Giuseppe Verdi, sicuramente lo spettacolo di maggiore risonanza fino allora realizzato nel teatro di Castiglione. Durante il primo conflitto mondiale l'attività del teatro non si interrompe. Un concerto quanto mai ricco viene dato il 3 settembre 1916 allo scopo di raccogliere fondi per le famiglie dei richiamati alle armi. A guerra finita, il 26 gennaio e il 20 luglio 1919, vennero eseguite due recite il cui ricavato servì per erigere una lapide in onore dei valligiani caduti nel corso del conflitto. Ad aprile dello stesso anno era stata portata in scena un'altra rappresentazione a beneficio dell'asilo infantile di Castiglione. Sempre per raccogliere fondi per la scuola materna ad agosto del 1923 la compagnia filodrammatica dei giovani comaschi ha rappresentato "Il carabiniere" bozzetto in un atto di P. Gemelli e "Il casino di campagna" operetta in un atto di M.G. Lamberti. Nel 1924, in pieno agosto, le allieve della scuola di Castiglione recitano l'operetta "Le orfanelle". Il mese dopo il teatro sociale ospita una serata musicale che da quanto scritto sul giornale la Valle Intelvi mandò letteralmente in visibilio gli spettatori.
Le notizie sugli spettacoli diventano negli anni successivi sempre più rare. Il giornale la Valle Intelvi menziona una festa che si è svolta il 29 maggio 1930 e riferisce che per anni il teatro sociale fu chiuso. In un articolo che Mario Zanotta ha scritto nell'aprile del 1980 si accenna a una lunga e costosa causa infine vinta. Non si hanno notizie precise dal 1940 al 1945, probabilmente per gli avvenimenti bellici le rappresentazioni hanno subito una pausa. Ma subito dopo, dal 1945 al 1955, con l'entusiasmo di tutti si ricostruì la Compagnia filodrammatica che riportò alla ribalta tutte le opere già descritte nelle note storiche. La direzione era del dottor Baroni, le coreografie e le scenografie erano del dottor Paltrinieri coadiuvato da Mario Porta, i costumi della signora Merino ex ballerina della scala di Milano. Una delle ultime rappresentazioni fu la deliziosa operetta "La Pianella perduta nella neve".
Da una ricerca svolta dagli allievi dell'Accademia di Brera risulta che il teatro sociale, già di proprietà di Angelo Maria Botta e poi dal 1951 del Comune, fu sede di spettacoli fino al 1955. Dopo il 1955 il locale venne gestito da un gruppo di giovani e adibito a sala da ballo mutando il nome in quello più fascinoso ed esotico di "Shanghai". Dal 1960 il teatro venne lasciato in stato di completo abbandono. Finalmente nel 1982 si iniziarono i lavori di ripristino affidati alla ditta Traversa-Manzoni con la direzione del geometra Gianni Maroni.
Le decorazioni pittoriche vennero eseguite da Piero Gaddi pittore, da Domenico Rinaldi decoratore (scopritore degli affreschi quattrocenteschi nella casa di sua proprietà), e da Nazareno Malfatti.
Nel 1998 la scuola di Scenotecnica di Brera diretta da Franco Cheli ha dipinto un fondale per esterni e all'inizio del 1999, con sovvenzione comunale, il teatro è stato munito di un solido tetto. Lo stesso anno gli allievi braidensi della suddetta scuola con la scuola degli Artefici sotto la guida di Sabina Capraro e Giancarlo Chielli, hanno preparato i bozzetti di un fondale per interni.
"Questo piccolo teatro, sottolinea Sabina Capraro, diventato patrimonio della Regione e restaurato dagli allievi della Scuola di Scenotecnica sotto la guida del professor Franco Cheli, è un gioiello unico nella valle".
Un ricordo particolare va al pittore Piero Gaddi, che nessuno può dimenticare, per i decori che abbelliscono tuttora il teatro e il primo fondale sul muro di fondo del palcoscenico. L'arco scenico è già stato restaurato e decorato con colori a calce o a tempera con leganti proteici, mentre le pareti di legno con colori traspiranti che ne permettono la conservazione. I toni prevalentemente usati a base di terre, grigi azzurri e verdi spenti, come quelli utilizzati nei dipinti a teatro del 1900 da Charles Leandre, hanno eliminato l'uso tipico del rosso di facile consenso.
I motivi che decorano la sala, i palchi e l'arco scenico con festoni, clipei, profili e filetti, anche se accostano argomenti di stile settecentesco accanto ad argomenti di stile tardo liberty, sono realizzati con l'aiuto di stampini e mascherine che non creano disturbo, ma aumentano l'interesse per il palcoscenico al di là del sipario alla greca con l'apertura verso i lati, di velluto rosso. Ben poco si è potuto recuperare delle attrezzature del palcoscenico, ora sostituite da una scena montata su tamburo per avvolgimento, rispettando i tradizionali macchinari teatrali. I dipinti, opera degli allievi della scuola di Scenotecnica, illustrano, con precisi connotati storici, i tipici aspetti: un esterno teatrale, il paese con la piazza, le vie di accesso e la chiesa. Le quinte sono state in parte recuperate, e altre sono state rifatte con tavole di legno montate su perni fissati nel pavimento che ne permettono la rotazione, favorendo un rapido cambio di scena.
Per concludere il lavoro di conservazione ha avuto come obiettivo il far rivivere l'unico teatro rimasto quasi intatto nella Valle Intelvi, ed è stato mirato all'integrazione di questo spazio culturale nella vita sociale per un utilizzo di valore d'uso, con la consapevolezza che ogni teatro è la più forte unitaria rete di messaggi a carattere regionale nel nostro paese.
Curiosità di questo teatro è un atrio piccolo, quasi mimetizzato, uno spazio segreto e sospeso che valorizza lo stupore di chi entra per la manifesta teatralità.
Sopra l'ingresso del Teatro possiamo ammirare una serie di graffiti policromi che riprendono alcune scene del matrimonio della regina Teodolinda con Agilulfo: gli strumenti musicali e altri particolari delle scene nuziali. Ad eseguirli nel 2008 sono stati gli allievi della Scuola superiore degli Artefici dell'Accademia di Belle Arti di Brera, tra cui la comasca Jo Taiana, sotto la guida dell'insegnante Sabina Capraro. L'opera è una libera interpretazione degli affreschi degli Zavattari nel duomo di Monza che riprende alcuni episodi della vita di Teodolinda, dal corteo delle nozze con il secondo marito al pranzo e il ballo fino alla regina che distrugge gli idoli di Agilulfo. L'intero lavoro è stato esposto in precedenza nella città di Monza e nella chiesa di santi Cosma e Damiano a Como nella mostra «Teodolinda una regina per l'Europa». La figura della sovrana, che si inserisce nel contesto della nascita della civiltà occidentale, è circondata da un'aura di leggenda che ha portato a dedicarle strade, come l'antica via Regina di epoca romana, e torri, come quella di Cerano d'Intelvi. Cattolica, figlia di Garibaldo duca di Baviera, Teodolinda sposa dapprima il re longobardo Autari, e dopo la sua morte Agilulfo, duca di Torino, che divenne re anche per via di questo matrimonio. Il ruolo della regina fu per diversi motivi cruciale per la Chiesa di Roma.
Bibliografia: liberamente tratto da "Castiglione Intelvi e il suo Teatro" ad opera del Comune di Castiglione Intelvi e l'Accademia di Belle Arti di Brera-Scuola Superiore di scenotecnica-Scuola Superiore degli Artefici-1999.